5 – Il Sommo Bene che deriva da Dio 01/12/2020

“Non è necessario avere una religione per avere una morale, perché se non si riesce a distinguere il bene dal male quella che manca è la sensibilità, non la religione”. Di chi è questa frase? E perché faccio partire da questa il mio ragionamento? Semplice. Perché è quella di un’astrofisica che risponde al nome di Margherita Hack, che ha sempre detto di preferire “il protone al Paradiso”; atea, vegetariana, paladina degli animali, dei “diritti civili”, delle coppie omosessuali, dell’eutanasia e del testamento biologico, che ha vissuto con un cane e otto gatti. Ma perché questa sua frase mi ha sempre colpito e perché si lega al nostro discorso sulle radici cristiane? Perché per un ateo il saper distinguere il bene dal male è un mero esercizio di volontà; una morale forgiata dalla sensibilità personale. Quindi, se la mia “personale sensibilità” mi dice che abortire significa fare il “bene” della madre, dimenticando il bambino; se mi dice che praticare l’eutanasia non è altro che un atto di misericordia nei confronti del malato; se mi dice che riconoscere alle coppie omosessuali il diritto di adottare significa esaudire i legittimi desideri di realizzazione personale, senza comprendere l’importanza dello sviluppo del bambino, allora vuol dire che il bene lo sto decidendo IO e non DIO.

Una piccola differenza si direbbe; una “D” in meno o in più, dipende dai punti di vista. Sì, perché se il bene lo posso ricavare da solo, se non ho bisogno di nessuno per discernere il bene dal male, ciò che sto recidendo, sono appunto le radici cristiane, non solo del nostro continente, ma della storia dell’umanità. E, invece, se abbiamo compreso il principio dell’inviolabilità della vita, se dalla Monte Taigeto siamo passati a riconoscere i diritti dei “non nati”, se dall’eliminazione sistematica di coloro che per età, invalidità o razza erano considerati un peso per la società, siamo passati a riconoscere la dignità; se abbiamo anteposto i doveri ai desideri trasformati in diritti, lo dobbiamo proprio a quella cultura cattolica che ha permeato i millenni della nostra storia.

Ed è proprio questo ciò che gli atei non accetteranno mai, perché per loro abbassare le ginocchia non rappresenta un atto di umiltà, bensì di servilismo e non è un caso che nei racconti dei Padri del Deserto si narra che il diavolo senza ginocchia apparve ad un santo monaco. Alla domanda del monaco che gli chiedeva il perché non avesse le ginocchia, il diavolo rispose che lui non ne aveva bisogno perché non si inginocchiava mai.

Ecco perché non basta il “bene”, non basta “il sentimento”, ma abbiamo bisogna di quella “D” che dà senso alla nostra vita e regola il nostro “IO”. Ecco perché il vero bene non può discendere dalla “sensibilità” di ognuno di noi, proprio perché, in quanto soggettiva, essa è libera di dare al bene qualsiasi forma. Per questo Gesù, già duemila anni fa, ci disse: “Senza di me non potete fare nulla”. O meglio, possiamo fare tutto, ma alla fine mai nulla di veramente “buono”. La vera bontà non viene da noi, ma da Lui. È Lui che guida il discernimento nelle situazioni della nostra vita; è Lui che purifica le nostre “buone azioni”, perché c’è una grande differenza tra “fare del bene” e “fare il bene” e ciò che noi crediamo essere “bene” potrebbe anche essere il “male” travestito da “bene”.

Ed è qui che si gioca tutta la partita, in quanto l’ateismo non ha bisogno di Dio per discernere il bene dal male, basta la propria sensibilità. 

In altre parole non mi riconosco più creatura che prova a discernere il Bene, ma Creatore da cui il Bene promana!

Yuri Buono