15 – Il giusto prezzo e il tasso di interesse nel Medioevo Cristiano

Ancora una volta dobbiamo citare il tanto bistrattato Medioevo per comprendere l’importanza del cattolicesimo nel conseguimento del libero mercato. In particolare, è grazie a San Tommaso d’Aquino che si fece strada la teoria del prezzo giusto. Chiariamo subito che il commercio, il guadagno e, più in generale, la ricchezza hanno sempre creato una dicotomia, anche all’interno del mondo cristiano, tra spinte ascetiche ed eccessi ipercapitalisti. Ecco perché, ancora una volta, la giusta strada ce la indica la Chiesa. San Tommaso, infatti, teorizza il rispetto per le leggi di mercato e per il giusto prezzo di vendita, portando come esempio quello di un mercante che, arrivando prima dei suoi “colleghi” in una città sprovvista di grano, lo vende a un prezzo molto alto, senza avvisare gli acquirenti che di lì a poco sarebbe arrivato altro grano che avrebbe causato la conseguente diminuzione del prezzo. Per San Tommaso ciò che conta, in un libero mercato, è che l’acquirente non venga ingannato o costretto; quanto al resto mostra il massimo rispetto per le forze che agiscono sul campo. A prima vista, quella del Santo potrebbe apparire come una mancanza di carità, una giustificazione all’aspetto più bieco del libero mercato, ma con tutta evidenza Egli ha semplicemente compreso molti secoli prima ciò che sarebbe avvenuto dopo. Infatti, come afferma Rodney Stark nel suo libro “La Vittoria della Ragione”: «Sembra dubbio che si possa creare un’efficiente economia moderna senza l’adozione del capitalismo, come dimostrato dal fallimento delle economie dirigiste dell’Unione Sovietica e della Cina. I sovietici riuscirono a lanciare razzi in orbita, ma non a portare cipolle a Mosca in modo affidabile. Per quanto riguarda la Cina, poi, milioni di persone sono morte, a dimostrazione che l’agricoltura collettivizzata non è produttiva». Cosa aveva capito il Santo, allora, già circa settecento anni prima? Che non sarebbe servito a nulla “dirigere” il portafogli dell’uomo; ciò che avrebbe dato un’anima al libero mercato sarebbe stata solo la “direzione” del cuore. Essa soltanto avrebbe assicurato il vero e reale soddisfacimento dei bisogni e delle aspettative di tutti.
Per quanto riguarda l’interesse sui prestiti, invece, il Santo non si esprime in maniera netta, ma dà come indicazione l’applicazione di una sorta di tetto massimo (che però non indica) per evitare di sfociare nell’usura. Sarà, poi, il diritto canonico a sancire che un tasso d’interesse fisso sul prestito di una somma di denaro sarebbe stato giusto solo in virtù di un concreto rischio di restituzione. La “mondanizzazione” della Chiesa, antecedente alla Riforma, fece il resto; ma nonostante le sue storture, essa permise di rispondere a bisogni reali che, se fossero rimasti inespressi, avrebbero provocato una netta frenata del progresso, anche tecnologico. Infatti, è proprio quello che è avvenuto in tutti gli stati islamici per tre motivi: la sua proibizione dell’interesse sui prestiti, un disprezzo nei confronti del commercio da parte delle élites e la massiccia interferenza dello Stato.
Ecco perché il Cristianesimo, nonostante tutti i limiti dimostrati da alcuni suoi uomini, ha assicurato comunque la libertà, non solo economica, ma anche e, soprattutto, personale.