1 – Paolo passa in Macedonia

Gli Atti degli apostoli raccontano che Paolo, durante la notte, ebbe una visione di un macedone che lo pregava dicendo: Passa in Macedonia e soccorrici. Attorno alla metà del primo secolo, l’Apostolo delle genti entrava quindi in Europa, incontrando quella civiltà greco romana che fino a quel momento aveva conosciuto solo indirettamente in Asia. In particolare il contatto con la Grecia, culla della ragione, imponeva il confronto con quelle risposte raffinate elaborate dalla filosofia nei secoli: era in gioco la credibilità dei cristiani, che sarebbero stati vagliati dai saggi greci in base al λόγος! Ad Atene, nel famoso discorso dell’Areopago sulla divinità, Paolo accetta la sfida con un verso di un poeta stoico: In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. La citazione avrà colpito il pubblico intellettualmente esigente, e non certo prodigo nel giudicare quello barbaro che proponeva cose strane, ma per Paolo non si tratta di un facile accomodamento sulle posizioni dell’interlocutore. Non manca infatti di ribadire che, se è vero che riceviamo l’esistere e il movimento da Dio, la fonte di questi doni non può essere intesa alla maniera stoica e panteistica: Dio non è l’universo e la creatura non è un’appendice del Creatore! Dio è il Signore del cielo e della terra, il Giusto Giudice, e se Dio non si identifica con le forze della natura, ma le padroneggia, ne deriva che può annullare gli effetti della morte e far risorgere l’uomo che ha designato. Anche in ambito antropologico il pensiero paolino può soccorrere la riflessione greca che con Platone aveva dualizzato irreparabilmente l’uomo. Da una parte un’anima divina e decaduta (evidente contraddizione), legata al mondo celeste da cui proviene, e dall’altra un corpo (σῶμα) inteso come oscuro carcere (σῆμα) dell’anima, luogo di espiazione di una colpa commessa. Paolo è più sottile, perchè l’uomo è influenzato negativamente non dal corpo, ma dalla carne (σάρξ), e elevato dallo spirito (πνεῦμα). La carne non è la sensualità, ma piuttosto un principio negativo che si annida nella coscienza dell’uomo, che diventa terreno fertile per il peccato. Tra le opere della carne troveremo quindi non solo fornicazione, ubriachezze e orge, ma anche idolatria, stregoneria, invidia. Lo spirito invece rende presente lo Spirito divino in noi, sollevandoci alla dignità di figli adottivi di Dio, capaci di altruismo, anche attraverso opere buone di natura materiale. Non è il corpo dunque ad essere negativo, ma l’uomo che non accoglie il dono della grazia, che sola può renderci capaci di vero bene e di diventare imitatori (μιμηταὶ) di Dio. E proprio il concetto platonico di μίμησις ci ricorda che tra uomo e Dio ci può essere solo imitazione, e non totale identità; un’etica esigente dunque, che insegna però il soccorso della grazia alla nostra fragilità, rispetto alle altezze irraggiungibili del rigore stoico, costretto poi a nascondere i propri insuccessi dietro il paravento del suicidio.