Newsletter n. 4/23 – I dolori di Maria Santissima
Maria Santissima, anche se in Paradiso, soffre?
Il problema è grave, e la provocazione grande. Anzitutto però la provocazione è in particolare per chi vive un cristianesimo di facciata, che non disturbi il quieto vivere; quello che vuole venire quasi sempre a patto con il mondo, la carne e anche il diavolo; quel mondo per cui Gesù non ha pregato (cfr. Gv 14,27), per chi si riveste di slogan gridati – ma sostanzialmente falsi, anche se piacevoli – del tipo: prima di tutto la pace, la giustizia, l’amore…
Come non pensare a quella famosa frase di Shakespeare: “Ci son più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia” (W. Shakespeare, Amleto Atto I scena 5 [1.5.167-8]). Frase famosa che bisogna sempre avere davanti quando qualche difficoltà si presenta agli occhi della nostra ragione, perché bisogna restare nell’umiltà indispensabile per capire qualcosa del reale che ci troviamo a dover affrontare. Orazio, l’amico di Amleto, cercava ragioni per spiegare l’apparizione del fantasma del padre di Amleto, qui l’apparente scandalo ha un altro argomento.
Tuttavia, pur restando nel mistero grande, qualcosa possiamo almeno intuire. Il problema lo affrontò anche Pio XII dovendo illuminare sull’Assunta (1-11-1950): “Senza dubbio Maria è in cielo eternamente felice e non soffre dolore nell’né mestizia; ma Ella non si vi rimane insensibile ché anzi nutre sempre amore e pietà per il misero genere umano, cui fu data per Madre allorché dolorosa e lacrimante sostava ai piedi della croce, ove era affisso il figliolo” (17-10-1954). Il Card. Martini ha espresso un concetto simile riguardo ai santi: “la felicità dei santi non è così imperfetta da non accettare di coinvolgersi nell’umana infelicità”.
Tutto questo è vero, ma va inteso bene. Il dolore di Maria SS. non è collegato al peccato originale, non dipende da quello come per noi tutti, e non è neppure un dolore fisico o psichico o mentale. Maria soffre d’amore materno. Quello che gli antichi greci chiamavano “pathos” – “compassione” in italiano – è ciò che accade a Lei. Cioè, dipende dalla categoria della “compassione”. Un’ulteriore precisazione è necessaria: si tratta della compassione che i profeti dicevano del Dio impassibile per definizione mentre osservava i peccati e le disgrazie di Israele: “Ho visto tutta la miseria del mio popolo in Egitto… Perciò sono sceso a liberarlo dalla mano degli egiziani” (Es 3,7-8). Il Paradiso – e dunque Dio che si è rivelato in Cristo – non è la realtà impassibile dei filosofi o degli esoteristi, infinitamente distante e totalmente insensibile ai dolori umani. I profeti non erano degli aruspici pagani e neppure degli indovini che scrutano un futuro già stabilito, e quindi indifferenti alle disgrazie che forse annunciavano. Questa stessa “compassione” di Dio è quella presente anche in Maria ss., e di questa compartecipazione vive oggi in Paradiso. Le parole scritte da Maria Valtorta si spiegano così. “Maria è l’eterna puerpera che vi dà alla luce con un dolore senza pari, perché sa che quel dolore genera non beati al Cielo ma, nella maggior parte, dannati all’Inferno. Sa che genera creature morte o destinate a morire fra breve”. Questo dolore di compassione per chi ha deciso di fissarsi lontano da Dio resterà in Lei, Madre di tutti i Viventi, fino a che il Cristo tornerà vincitore e glorioso: “Quando il tempo cesserà d’essere, allora Maria cesserà di soffrire, perché il numero dei beati sarà compiuto”. Tutto questo ci dice anche la misteriosa vicinanza che la Madre ha con noi oggi. Il “pathos” della condivisione la avvince fino all’ultimo giorno.
Credo allora di poter aggiungere che anche dopo Maria SS. vivrà questo coinvolgimento, ma sarà una partecipazione per i redenti del Paradiso. Sarà gioia di tutte le gioie che solo la Grazia le permetterà di gustare. Vicino a noi ora, partecipe delle nostre scelte ora e, partecipe, speriamo, della nostra gioia in eterno.
“Ma nella ‘Piena di Grazia’ vi era anche la conoscenza dei secoli avvenire, in cui torme incalcolabili di uomini avrebbero continuato a ferire spiritualmente il Figlio suo, ed era sola. Il deicidio non è finito sul Golgota nell’ora della mia morte. Esso si ripete ogni qualvolta un mio redento uccide la sua anima, sconsacra il tempio vivo del suo spirito, leva la mente sacrilega a bestemmiare Me, non solo con il turpiloquio osceno, ma con mille maniere del vivere attuale, sempre più contrario alla mia Legge e sempre più neutralizzante i meriti incalcolabili della mia Passione e Morte. Maria, Corredentrice eccelsa, non cessa di soffrire, come non cesso Io. Nella gloria intangibile dei Cieli, Noi si soffre per gli uomini che ci rinnegano e ci offendono. Maria è l’eterna puerpera che vi dà alla luce con un dolore senza pari, perché sa che quel dolore genera non beati al Cielo ma, nella maggior parte, dannati all’Inferno. Sa che genera creature morte o destinate a morire fra breve. Morte, perché su certe creature il mio Sangue non penetra, come fossero di durissimo diaspro. Dalla più giovane età uccidono se stesse. O destinate a morire fra breve, ossia coloro che, dopo una larva di vitalità cristiana, soccombono sotto la loro inerzia che niente scuote. Può Maria non soffrire di vedere perire le sue creature che costano il Sangue del Figlio? Il Sangue sparso per tutti e che giova a così pochi! Quando il tempo cesserà d’essere, allora Maria cesserà di soffrire, perché il numero dei beati sarà compiuto. Ella avrà generato, con dolore inenarrabile, il corpo che non muore, di cui il suo Primogenito è il capo. Se considerate questo, potete ben capire come il dolore di Maria fu sommo dolore. Potete capire come – grande nel Concepimento immacolato, grande nella gloriosa sua Assunzione – Maria fu grandissima nel ciclo della mia Passione, ossia dalla sera della Cena all’alba della Resurrezione. Allora Ella fu il secondo – in numero e potenza – il secondo Cristo, e mentre il cielo si oscurava sulla tragedia compiuta e si squarciava il velo del Tempio, i nostri Cuori si squarciarono d’uguale ferita vedendo il numero immisurabile per cui la Passione fu inutile” (I Quaderni del 1943, pp. 137-138).
Santa Pasqua!