“Fame” di Dio
Il Cielo!
La mia mèta.
Là dove era Dio.
L’unica mia fame.
Fame che non è gola
ma necessità benedetta da Dio,
il quale vuole che appetiamo di Lui.
Questo scritto è un frammento in cui Maria santissima detta così a Maria Valtorta per commentare la sua parte nella nascita di Gesù (cap. 29,10). Pur essendo solo una scheggia del brano, ha comunque un valore in sé. Ed è anche poesia: contiene di fatto tali risonanze che solo una poesia può contenere, freme di incontenibile desiderio come solo la poesia sa mostrare. In essa riecheggiano molte parole del nuovo testamento: “La nostra patria è nei Cieli” (Fil 3,20); “Padre nostro che sei nei Cieli” (Mt 6,9); “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” (Mt 22,37); “il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui” (Mt11,11); “rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei Cieli” (Lc 10,20), e la lista potrebbe essere ben lunga.
Le parole presenti qui riguardano tutti gli uomini, nessuno escluso, anche se troppi lo hanno dimenticato. Siamo stati creati per il Cielo e la Terra sarebbe stata comunque un passaggio. L’andarci sarebbe stato un ascendere – come fu per Maria ss – ma ora, dopo il peccato primo, dobbiamo passare per la croce della morte. La nostra, ma soprattutto la morte e resurrezione di Gesù, perché la croce sia per noi salvifica e redentrice. Comunque è per tutti “la meta”. Non “una” meta, ma “la” meta. E chi non la sceglie resterà un fallito eterno, nonostante l’abbia rifiutata liberamente.
E lì c’è Dio. Non una statua fredda da adorare non si sa bene come, ma un Padre che ci vuole parte di sé. Mistero, certo. Mistero impenetrabile a tal punto che la Rivelazione ci prova neanche a descriverlo. Arriva solo a dirci che saremo “uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio” (Lc 20,36). Mancano una infinità di dettagli, che nemmeno Gesù ci ha rivelato, perché oggi sarebbero incompressibili per tutti noi. Tuttavia, se usiamo un po’ della ragione di cui siamo dotati, forse intuiamo che cosa vuol significare “essere uno con Dio”. Si può intuire nella poesia, per non rimanere soffocati da paragoni banali, che tuttavia esprime solo frammenti delle verità ineffabili.
Maria ss la dice “l’unica mia fame”. La miseria umana la si vede proprio in quegli uomini che hanno avuto successo in questo mondo: hanno avuto fame di tutto, ma non di Dio; hanno accumulato di tutto, dai bottoni alle astronavi, ma non si sono riempiti di Dio. Eppure Gesù lo ha espresso molto bene: “è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio” (Mc 10,25). La morte porterà via ogni cosa: non hanno avuto fame di Dio, non avranno Dio in eterno. Maria ss ci esorta ad avere questa “strana” fame; se per caso non ci stringe lo stomaco e il cuore, se non rientra nei nostri desideri, allora chiediamola e facciamolo strenuamente!
Questa fame è l’unica che sia veramente “benedetta” da Dio, perché ci illumina sul cammino da fare e sulla meta da raggiungere. Questa fame ci sprona sempre. Prendiamoci tempo, spazi, compagnie, che ci aiutino a trovare e ad avere questa fame; fame che non sazia mai, pur saziandoci sempre abbondantemente. Perché Dio è inesauribile da qualsiasi punto di vista.
Un ammalato fatica ad appetire qualsiasi cosa, anche perché se la memoria gli fa sorgere l’acquolina in bocca per cose gustatissime in passato, ora sono diventate per lui veleno. Ma qui vale l’opposto. Più siamo ammalati (peccatori) e più dovremmo appetire a Lui che è sazietà per ogni fame e sete. Chiediamo e richiediamo questa fame, perché è l’unica che ci manterrà sulla vera via nonostante gli intoppi d’ogni genere che ci potranno accadere. Maria ss ci ha mostrato con la sua vita umile come e che cosa fare. Seguiamola, lasciando al mondo i suoi desideri, speranze e fantasie, cioè tutto ciò che comunque non sazierà mai.
E non dimentichiamo l’esortazione di Gesù nel capitolo 652: “E ancora vi dico: ‘’Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere ‘perché il tempo è vicino’ (Giovanni, Apocalisse, cap. 22, v. 10) ‘e chi è santo si faccia ancor più santo’ (v. 11)”.