Newsletter n. 8/23 – I Quattro Amori
«“[…] Vi sono molti amori e di diverse potenze. Vi è l’amore di prima potenza: quello che si dà a Dio. Poi l’amore di seconda potenza: quello materno o paterno, perché se il primo è tutto spirituale, questo è per due parti spirituale e per una sola carnale. Vi si mescola, sì, il sentimento affettivo umano, ma vi predomina il superiore, perché un padre e una madre, sanamente e santamente tali, non danno solo cibo e carezze alla carne del figlio, ma anche nutrimento e amore alla mente e allo spirito della loro creatura. […] Vi è l’amore per la compagna: amore di terza potenza perché fatto per metà — parlo sempre dei sani e santi amori — di spirito e per metà di carne. L’uomo per la sposa è un maestro e un padre, oltre che sposo; e la donna per lo sposo è un angelo e una madre oltre che sposa. Questi sono i tre amori più elevati.
[…] Dio va amato perché è Dio, dunque non necessita nessuna spiegazione per persuadere a questo amore. Egli è Colui che è, ossia il Tutto; e l’uomo, il nulla che diviene parte del Tutto per l’anima infusa dall’Eterno — senza quella l’uomo sarebbe uno dei tanti animali bruti che vivono sulla terra o nelle acque o nell’aria — deve adorarlo per dovere e per meritare di sopravvivere nel Tutto, ossia per meritare di divenire parte del popolo santo di Dio in Cielo, cittadino della Gerusalemme che non conoscerà profanazioni e distruzioni in eterno.
[…] Se non ci fossero stati i tre piloni dei tre amori sopraddetti, avrebbe potuto esserci l’amore di prossimo? No. Non avrebbe potuto esserci. L’amore di Dio fa Dio amico e insegna l’amore. Chi non ama Dio, che è buono, non può certo amare il prossimo, che in maggioranza è difettoso. Se non ci fossero stati amor coniugale e paternità nel mondo, non avrebbe potuto esserci prossimo? No, perché il prossimo è fatto dei figli nati dagli uomini”.
[…] “E gli altri amori?”, chiedono insieme Simone Zelote e l’uomo d’Endor. “Il primo della seconda serie è quello del prossimo. In realtà è il quarto in potenza. Poi viene l’amore alla scienza. Indi l’amore al lavoro”. “E basta?”. “E basta”. “Ma vi sono molti altri amori!”, esclama Giuda Iscariota. “No. Vi sono altre fami. Ma non sono amori. Sono ‘disamori’. Negano Dio, negano l’uomo. Non possono perciò essere amori, perché sono negazioni e la negazione è odio”» (EV3, cap. 196).
Questo brano, scritto da Maria Valtorta il 25 giugno del 1945, è “ambientato” attorno al 15 aprile del 32 (calendario del prof. Liberato De Caro). Alcuni elementi per capirlo a fondo sono il luogo, il tempo, le persone presenti, la storia di quelle persone, l’intenzione dell’Autore (Gesù, non Maria Valtorta), il fine che voleva raggiungere, le circostanze e anche la lingua usata.
Personalmente mi ricorda un famoso libro di un altrettanto famoso scrittore: “I quattro amori” di C. S. Lewis: l’autore anglicano delle “cronache di Narnia” non parla delle potenze dell’amore, bensì di quattro amori diversi che possono conquistare il cuore e la vita dell’uomo, che sono: affetto, amicizia, eros, carità. Gesù invece, nella rivelazione privata valtortiana, non parla di “amori”, bensì di “Amore”. A Gesù interessa mostrare la giusta gerarchia dell’amore che può coinvolgere un essere umano. Il richiamo a Mt 10,37-38 è evidente: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me”. Per Gesù l’amore è uno solo, e può variare soltanto per l’intensità: solo per Dio può essere totale e totalizzante, tutti gli altri sono parziali, anche se coinvolgenti come l’amore sponsale. È assolutamente assente ogni compromesso-riduzione-relativizzazione dell’amore verso Dio. Questo amore è ovvio e scontato: “Dio va amato perché è Dio, dunque non necessita nessuna spiegazione”; è talmente assoluto e ovvio che non ha nemmeno bisogno di commento. Dio c’è e va amato totalitariamente, senza giustificazioni o prove. C’è, quindi va amato così. Punto. Ciò che la modernità ha introdotto, cioè il dubbio e l’incertezza, qui non viene neppure preso in considerazione.
C’è poi un altro punto da sottolineare: la nullità dell’uomo insieme alla sua straordinarietà. È una nullità perché è una creatura. È però straordinario, perché è un’anima incarnata chiamata a far “parte del popolo santo di Dio in Cielo”. È la spiritualità dell’uomo che gli consente di amare, e l’uomo – io e te – di questa consapevolezza deve vivere ogni istante della sua vita. L’Opera Valtortiana ha proprio questo fine: far ritornare l’uomo cosciente dei doni ricevuti e viverli con entusiasmo e perseveranza.
La chiusura del brano è categorica: non ci sono altri amori veri, ma solo passioni, “fami”. Sport, scienza, tecnologia, ecc. sono interessi, démoni, ma non amori. Nessuno scandalo, ma solo volontà di far capire i due elementi che dovrebbero guidare l’uomo di ogni generazione: Dio e l’anima umana. Questi sono i due paradigmi che dovrebbero guidare ogni essere umano nel cammino della vita, perché sia già da ora proiettata verso la Vita vera, quella Eterna nell’Amore.